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di KATIA FILICE e DESIRÉ CHIRICO – Una vecchia foto in bianco e nero appesa alla parete ritrae due anziani signori che seduti su una panchina, il primo fuma, l’altro accende una sigaretta e,  in silenzio, senza guardarsi negli occhi, sembrano raccontarsi tante cose. Gesti usuali e comuni, sono l’espressione più pura di qualcosa che li lega al di là del tempo e dello spazio, una vecchia amicizia che è certezza e fiducia.  Filosofi e poeti si sono interrogati nel tempo su questo sentimento che alcuni hanno relegato alla sola sfera emozionale e altri, invece, vi hanno scorto volontà e ragione. Al di là delle varie ipotesi non si può che concordare che dall’infanzia alla maturità l’amicizia nella sua struttura emotiva e sociale resta inalterata. In una vita intera si possono creare un tesoro di relazioni, avere tanti amici, i più si perderanno per strada, quasi naturalmente, ma se si è fortunati qualcuno resta e finisce con l’essere compagno di un’intera vita. Non sarà necessario vedersi o sentirsi ogni giorno, basterà semplicemente riconoscersi nell’altro, condividere gli stessi principi ed avere gli stessi valori. E, crescendo e poi invecchiando,  si ha sempre più voglia di parlare, di raccontarsi, di sentirsi utili, di fare piccoli e grandi doni, di riconoscersi appartenenti ad un luogo in cui sentirsi in relazione con tutti gli altri, pronti a conoscere cose nuove e a sviluppare nuove abilità, che si tratti di una poesia, di un ballo leggero o di una piccola e semplice conoscenza artistica, l’anziano ogni giorno ricorda a se stesso di aver imparato qualcosa di nuovo e soprattutto di averlo condiviso con gli altri. Un processo che accresce la sua autostima, in risposta ad un mondo che vuole relegarlo ai margini, e lo difende dalle tante fragilità fisiche e mentali che tendono a minarne l’autosufficienza.