di LETIZIA GUAGLIARDI - "La mafia uccide le donne anche d’estate", questo è il titolo di un convegno al quale ho partecipato alcuni giorni fa, organizzato dalla Fidapa e dall’Itis “E. Majorana” di Rossano. Nell’Auditorium “Alessandro Amarelli” abbiamo avuto la sensazione che le donne coraggiose che abbiamo ricordato (fra le 157) camminassero lievemente in mezzo a noi, sorridendoci e incoraggiando i nostri studenti a dare il meglio di sè davanti a un pubblico attento e partecipe. Così è stato: hanno letto, cantato e suonato facendoci emozionare fra un intervento e l’altro (della dirigente scolastica Pina De Martino, della presidente della Fidapa di Rossano Giuseppina Santagada, di don Pino Madeo e del Ten. Carlo Alberto Sganzerla).
Sono donne che si sono trovate a vivere in una situazione di paura e di repressione, hanno conosciuto l’angoscia e il dolore, quello immenso che solo una madre può provare quando perde un figlio. E allora hanno attinto al coraggio e alla determinazione che erano dentro di loro e hanno detto basta, pur consapevoli della posta in gioco.
Alcune sono diventate attiviste, altre (forse perchè ancora troppo giovani) non ce l’hanno fatta a superare le mille difficoltà che una decisione del genere comporta e si sono suicidate, altre sono state fermate prima che la loro lotta per la ricerca della giustizia, della verità e della libertà che erano state loro negate andasse avanti.
Tutte, comunque, hanno seminato il bene. E hanno dimostrato che tutti noi siamo responsabili degli atteggiamenti mafiosi del nostro vivere quotidiano, anche di quelli piccoli, apparentemente innocui. Siamo responsabili quando preferiamo le scorciatoie, quando accettiamo i compromessi, quando ci pieghiamo alle soluzioni superficiali, furbe e convenienti, ai mezzucci che vanno a favore dei nostri interessi particolari e non al bene comune.
È stata letta la poesia che Felicia Impastato ha dedicato al figlio Peppino, ucciso nel ’78. L’ha scritta in siciliano e ogni volta che la leggo il mio cuore di mamma batte più forte. La riporto qui in italiano:
Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani,
questo non è il suo volto.
Questi brandelli di carne non li ho fatti io.
Mio figlio era la voce
che gridava nella piazza
era il rasoio affilato
delle sue parole
era la rabbia
era l’amore
che voleva nascere
che voleva crescere.
Questo era mio figlio
quand’era vivo,
quando lottava contro tutti:
uomini di panza
che non valgono neppure un soldo
padri senza figli
lupi senza pietà.
Parlo con lui vivo
non so parlare
con i morti.
L’aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
a studiare, ora esce,
ora torna, il viso
buio come la notte,
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.
Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di brandelli di carne
non è di Peppino.
Qui dentro ci sono
tutti i figli
non nati
di un’altra Sicilia.
(Felicia, la madre di Peppino Impastato. Cinisi, 1979)
Lei era esile, ma la perdita del figlio e la volontà di continuare la sua lotta l’hanno resa fiera e maestosa come una leonessa. È morta nel 2004 ma le sue parole, rivolte ai giovani, ancora risuonano, forti e invincibili come la forza delle donne:
Studiate, ragazzi, tenete la testa alta e la schiena dritta.
Perchè c’è chi fa affidamento sulla paura, sull’indifferenza, sul silenzio, sull’ignoranza. Soprattutto, preferisce il buio.
di Rubrica autogestita da Letizia Guagliardi | 16/05/2018
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